Bruno Molino di Balme, un montanaro di altri tempi
Il Molino con il versante NE dell’Uja di Mondrone (2964 m) – Foto di Umbro Tessiore
Testo di Giorgio Inaudi
Il bivacco Molino, di proprietà del CAI di Lanzo, è una solida struttura in legno, con 24 posti letto, che sorge a 2280 metri di quota nelle Valli di Lanzo, nel comune di Balme.
Gli alpinisti torinesi, e non solo, lo conoscono bene perché serve di base per le vie più impegnative dell’Uja di Mondrone ed è anche una piacevole meta per un’escursione in pieno versante sud, ad inizio o fine stagione.
Come avviene per tutti i rifugi, pochi sanno o si chiedono chi sia stato il personaggio cui la struttura è stata intitolata. Forse per questo motivo i francesi da tempo hanno smesso di intitolare i loro rifugi alle persone e sono tornati al nome del luogo. Forse è meglio così, ma, dal momento che nel nostro paese la maggior parte dei rifugi recano ancora il nome di persone, di solito vittime della montagna, vorrei ricordare la figura di Bruno Molino.
Vorrei farlo senza retorica, in modo sintetico e asciutto, com’era lui.
Era della leva del 1930 (da noi l’età si dice ancora così) e non era montanaro di nascita e neppure originario delle Valli di Lanzo. Era quello che si dice un alpinista di città, fortissimo ghiacciatore ed arrampicatore provetto, ma dotato soprattutto di quel senso della montagna che più facilmente si trova, ma non soltanto e non sempre, nei montanari di nascita.
Bruno Molino – Foto di Umbro Tessiore
All’età di quarant’anni, titolare di un avviato magazzino di elettrodomestici a Torino, fa la scelta della sua vita. Con la moglie ed il figlio adolescente, adotta una bambina e si trasferisce nella borgata Cornetti di Balme per gestire un piccolo negozio di alimentari. E’ una scelta coraggiosa, perché Bruno non sceglie di fissarsi in una di quelle località di montagna dove si può vivere bene dei proventi di un turismo ricco e magari assistito, come in Val d’Aosta. Sceglie invece le Valli di Lanzo, che non sono certo la montagna blasonata e alla moda, anzi vivono un momento di grave crisi economica e demografica, che molti ritengono irreversibile.
Balme è un villaggio piccolo e povero, da tempo ormai al di fuori dei circuiti turistici. Siamo nei primi anni Settanta, e ancora non si parla di una fruizione della montagna al di fuori dell’industria dello sci di pista. Parole come trekking, ciaspole, posto tappa non sono ancora entrate nel vocabolario corrente e non danno da vivere a nessuno.
Balme e il versante Est della Bessanese (3620 m) alle cui falde sorge il rifugio Gastaldi (2659 m)
Gli abitanti di Balme, poco più di cento, sono in maggioranza anziani e vivono delle povere risorse di un’agricoltura di sussistenza. Come ovunque, i montanari sono diffidenti e, sulle prime, non fanno buona accoglienza a quello straniero che pure si presenta in punta di piedi e che presto si rivela esperto artigiano, tecnico capace di riparare qualunque apparecchio e persino premuroso infermiere. Anche come soccorritore, la sua presenza è accettata dapprima con difficoltà. Ma Bruno, alpinista provetto, è soprattutto un uomo modesto, schivo, concreto e taciturno. Come i montanari veri. E i veri montanari, poco per volta, lo accettano come uno di loro. Diventa ben presto una figura di riferimento per tutti, residenti e villeggianti. L’età non più giovanissima non gli permette di coronare il suo sogno di divenire guida alpina, ma gli viene affidato l’incarico di responsabile della locale squadra del soccorso alpino.
E’ un impegno difficile in un’epoca, siamo sempre negli anni Settanta, quando l’impiego dell’elicottero è ancora un fatto eccezionale e i soccorsi si fanno ancora come una volta: a piedi, partendo magari nel cuore della notte, spesso nel maltempo, per affrontare dislivelli che si contano nell’ordine di migliaia di metri.
Elisoccorso 118
E’ un impegno difficile perché bisogna seguire l’evoluzione del soccorso alpino verso i tempi nuovi e Bruno, sia pure dopo molti anni, rimane uno straniero, che non parla la lingua del posto, che vede le cose in un modo diverso da chi non si è mai mosso dal paese. Eppure ce la fa, riuscendo a migliorare e modernizzare la squadra, a preparare e motivare le giovani leve. Attorno a lui si forma un gruppo di Balmesi e di villeggianti che frequentano la montagna regolarmente.
Decine di soccorsi, alcuni di grande impegno, lo vedono protagonista. Ma è un protagonista umile e schivo. Non cerca né ringraziamenti né elogi. Pochi gli sono riconoscenti, ma molti sono cresciuti alla sua scuola e se oggi Balme sta riconquistando, sia pure a fatica, un suo spazio nel mondo di coloro che amano la montagna rude, quella non annacquata o addolcita, lo dobbiamo anche a lui.
Per ironia della sorte, quest’uomo vigoroso ed ascetico, che non fumava e non beveva neppure il caffè, viene stroncato da una crisi cardiaca all’età di soli cinquantaquattro anni.
I Balmesi non l’hanno dimenticato.
Giorgio Inaudi
Quella notte sulla Ciamarella
La Est dell’Uja di Ciamarella (3676 m) la montagna più alta delle Valli di Lanzo
di Umbro Tessiore
Suona la sveglia, sono le 4.45.
Un po’ di tensione perché devo andare alla Est della Ciamarella con Bruno Molino, il capo del Soccorso Alpino di Balme: lo abbiamo combinato il giorno prima.
Guardo dalla finestra e quel po’ di tensione sparisce: piove, piove anche forte, quindi…!
Prima di tornare a letto do ancora un’occhiata fuori: sui vetri batte forte la pioggia, la spinge il vento gelido dei primi di Novembre.
Guardo in basso e sulla panchina: leggermente al riparo, intravedo Bruno.
Incredulo, mi strofino gli occhi e ricontrollo: è proprio lui!
Mi affaccio stupito e prima che io apra bocca lui mi dice: «Se ci fosse qualcuno in difficoltà sulla Est, dovremmo lasciarlo là solo perché piove???»
Qualche tempo prima gli avevo chiesto, non senza una certa emozione, se riteneva che io potessi entrare a far parte della squadra di Soccorso Alpino.
Da sinistra: Bruno Molino e Umbro Tessiore sulla vetta della Ciamarella durante l’esercitazione
Quel giorno abbiamo salito la Est, dapprima sotto la pioggia, che pian piano si trasformava in neve appena superato il Pian Ciamarella. In punta, la Madonnina portava un candido velo bianco di almeno una ventina di centimetri.
Tante altre sono poi state le occasioni in cui, anche senza parole, mi ha dimostrato che cosa intendesse lui per “volontario” del soccorso alpino, ma sicuramente quella di quel mattino è stata la prima vera lezione.
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Ormai è buio, sono quasi le 9 di una sera di settembre 1981: al mattino il tempo era discreto ma poi un fitto nebbione salito dal fondovalle ha portato la pioggia che cade fitta ormai da un paio di ore.
Arriva una chiamata di soccorso per un mancato rientro: un gruppo di alpinisti che ha salito la Ciamarella al ritorno al Pian della Mussa non ritrova più un loro compagno di escursione che quel giorno si era fermato subito dopo il ghiacciaio, rinunciando alla salita per stanchezza. Avevano concordato che lui si sarebbe incamminato sulla via del ritorno mentre il resto del gruppo avrebbe proseguito verso la punta. Durante tutta la discesa avevano sperato di incontrarlo, ma non vedendolo erano certi di ritrovarlo al Piano in attesa del loro ritorno: ma non c’era!
Dove poteva essere?
Controllato che per qualche ragione non fosse già andato verso casa non resta che organizzare una squadra di ricerca: lo scenario si presenta però molto complesso perché il territorio da ispezionare è immenso visto che può trattarsi di un malore o di una perdita di orientamento: bisogna pensare di cercare dappertutto a cominciare da Rocca Venoni, ispezionare l’alpeggio della Naressa, controllare il Rifugio Gastaldi ormai chiuso, calarsi nel canalone delle Capre per poi proseguire verso il Pian Gias, ecc…
Piove forte e al Pian della Mussa già nevica e c’è un vento di tormenta: qualcosa bisogna pur fare anche se le condizioni sono quasi proibitive. Siamo soltanto in cinque e cominciamo ad urlare nella notte il nome del disperso.
Per parecchie ore urliamo «Giovanni… Giovanni» senza alcuna risposta fino a raggiungere poi il Pian Gias. Qui la situazione peggiora ancora: la nevicata si fa intensa e il vento fortissimo ci fa perdere spesso l’equilibrio. Sembra assurdo proseguire in queste condizioni: la luce delle frontali arriva a stento a illuminare i nostri piedi a causa del turbinio dei fiocchi, non riusciamo più a sentirci se non parlandoci forte nelle orecchie per la tormenta, cominciamo a patire freddo e stanchezza.
Bruno però vuole proseguire ancora un po’ lungo la morena verso il ghiacciaio: teniamo duro e lo seguiamo: ci rendiamo conto che in una situazione del genere sono pochissime le speranze di trovare qualcuno anche perché, con ben altra visibilità, la stessa strada era stata percorsa poche ore prima in discesa dai compagni di gita.
Alla fine arriviamo al ghiacciaio: se possibile le condizioni si fanno ancora peggiori e alcuni di noi sono sfiniti: siamo pieni di neve e si trema dal freddo e per i crampi.
Ci sediamo un momento al riparo di un roccione che dà verso la Valanga Nera: beviamo qualcosa di caldo e ci prepariamo alla discesa: è l’una di notte!
«State fermi qui, non muovetevi, io vado ancora a dare un’occhiata sul ghiacciaio»: non ci crediamo eppure questa è la volontà di Bruno, del nostro capo, e queste parole ci arrivano come una sferzata alla nostra rassegnazione.
Pur rendendoci conto della inutilità di tale tentativo, ci interroghiamo su chi di noi ha ancora forze sufficienti per seguirlo e non lasciarlo solo sul ghiacciaio, senza visibilità e senza un minimo di sicurezza.
Calzati i ramponi e legata una corda, qualcuno lo raggiunge e la piccola cordata scompare subito nel buio e nella tormenta.
Alla base del ghiacciaio non si parla e si ascolta in silenzio l’urlo del vento in attesa, speriamo brevissima, del ritorno dei compagni così da poter cominciare finalmente il rientro.
Il tempo sembra infinito, a volte proviamo a puntare la pila verso l’alto sperando di vederli tornare ma il fascio di luce si infrange sul vortice di fiocchi a poche spanne da noi: si battono i denti e si aspetta.
La radio gracchia qualcosa… ma non si capisce: la porto vicino all’orecchio «TROVATO!»
E’ la voce di Bruno: non ci crediamo! «Portate su ancora una corda, è dentro un crepaccio!»
Sono le 2.
Era caduto per il crollo di un piccolo ponte di neve, giù nel crepaccio per oltre una decina di metri, fermo su un terrazzino di ghiaccio dalle due del pomeriggio: sentiva sotto di lui, parecchio più giù, scorrere l’acqua sul fondo del ghiacciaio dove pensava che a breve, appena lo avessero abbandonato le residue forze, sarebbe finita la sua vita. Dal suo terrazzino guardava verso l’alto attraverso il buco da dove era caduto e dopo la breve luce del giorno aveva poi intravisto le stelle poi solo buio fino a capire che sù stava nevicando e soprattutto che il buco si stava pian piano chiudendo a causa del vento e della neve.
Capiva che per lui tutto stava finendo ma voleva resistere fino all’ultimo: il freddo lo intorpidiva sempre più e per mantenersi sveglio si procurava delle piccole bruciature sulle braccia con la brace delle sigarette.
Il versante OSO della Ciamarella su cui passa la via normale (F)
Grazie a un improvvisato paranco ancorato con chiodi e piccozze nella neve inconsistente riusciamo nell’impresa di raggiungerlo e riportarlo in superficie: l’emozione è fortissima, non sentiamo neanche più freddo.
«Mi erano rimaste solo due sigarette». Ci abbracciamo tutti.
Durante la discesa è tutto un raccontare con euforia le proprie emozioni e sensazioni: sorridendo e prendendoci in giro anche perché per tutta la notte abbiamo urlato a squarciagola «Giovanni… Giovanni» mentre in realtà lui si chiama Giuseppe!
Alle 7 del mattino arriviamo al Piano della Mussa e solo adesso, scaricata l’adrenalina, ci rendiamo veramente conto di ciò che abbiamo portato a termine.
Nei giorni successivi si è poi parlato tanto di questo soccorso, della casualità, della fatalità e della fortuna che ha fatto sì che l’operazione avesse successo: in realtà è stata soltanto la forza e la caparbietà di Bruno Molino ad aver salvato la vita di Giuseppe.
P.S. So che per questo e per tanti altri soccorsi non ti è stato detto neanche un semplice grazie; nella tua immensa umiltà non lo hai mai neppure fatto notare… se mi permetti però adesso te lo voglio proprio dire io:
GRAZIE BRUNO.
Umbro Tessiore
Bruno Molino di Balme un montanaro di altri tempi
Quella notte sul ghiacciaio della Ciamarella